lunedì 24 gennaio 2011

Qualunquemente onda calabra


Da qualche settimana, e più precisamente dall'uscita del nuovo film di Antonio Albanese Qualunquemente, aleggia su Internet e sui giornali (a dire la verità per ora soltanto sul Giornale) una polemica sull'uso che Antonio/Cetto La Qualunque ha fatto della hit del Parto delle Nuvole Pesanti Onda calabra, colonna sonora del 'rockumentario' Doichlanda. Nel film di Albanese la canzone del Parto è diventata appunto la (obiettivamente divertente) Qualunquemente e cambia di senso: per il Parto "ci sono le rose/se le guardi non sono più rose", mentre per Cetto "c’è uno scoglio che si è trasformato/in pilastro di cemento armato"; per il Parto "I tuoi occhi é un luogo della mente/Passo il fiume e non ricordo niente", che per Cetto diventa "se ti senti un tipo esuberante/costruisci abusivamente".
Voltarelli ha accusato Albanese di aver stravolto la sua canzone, di averla trasformata in macchietta, in caricatura, trasmettendo un'immagine deleteria della Calabria tramite una canzone che era invece l'inno di quella Calabria "che non si piange più addosso" (parole di Voltarelli). Il Parto senza Voltarelli si è invece detto stupito dell'attacco del loro ex cantante a Albanese, e sostiene che la canzone non è affatto macchiettistica, e che il Parto stesso ha spesso usato la cifra dell'ironia: "D'altra parte vorrei ricordare che noi stessi abbiamo usato spesso l'arma dell'ironia (e della "macchietta"?) per raccontare pagine e storie dolorose del Sud e della Calabria in particolare". (qui la lettera di Peppe Voltarelli ad Albanese, seguita dalla nota del Parto delle Nuvole Pesanti)
Chi ha ragione tra Voltarelli e il nuovo Parto?
Ora, escluse le diatribe tra Voltarelli e i suoi ex compagni legate ad altri fattori, e posto che ho sempre apprezzato e seguito il Parto prima e Voltarelli poi, a mio avviso la polemica è l'occasione per una riflessione sul Sud e sull'immagine che si dà di esso anche da parte degli stessi meridionali. Riflessione che può essere condotta usando le categorie messe in campo da studiosi che le hanno utilizzate in altri contesti (mi riferisco ai Postcolonial Studies e ai Subaltern Studies).
Ritengo che in questo caso tertium datur: c'è una terza opzione tra Voltarelli e il Parto.
Il fatto è che il vecchio Parto, come riconoscono i suoi attuali membri, ha spesso usato un'immagine caricaturale, ironica, forse anche 'macchiettistica' del Sud. Meridionali cialtroni, un po' straccioni, le barbe incolte e i baffi, un po' gipsy e un po' terroni: erano questi i personaggi impersonati dai musicisti del Parto nelle loro performance. E la loro musica era 'etnica', richiamava le radici rivisitandole, ma sempre giocando con le origini, col dialetto, con la tradizione popolare. Una specie di wedding and funeral band di sapore balcanico, in linea con la riscoperta etnica che tanta parte ha avuto nella cultura musicale degli ultimi venti anni.
Anche il film Doichlanda, la cui colonna sonora è appunto Onda calabra, in fondo altro non è se non un gioco sullo stereotipo, sul pomodoro e sulla melanzana, sulla cucina e sulle radici, sulle ricette della mamma, sulla malinconia e sui kilometri da fare per arrivare al paesello. Un film popolato di gente dagli occhi tristi, emigranti calabresi dall'italiano incerto. E i membri del Parto a loro agio in quella fauna un po' vera e un po' grottesca.
Ora, questo esercizio auto-etnografico (descrivere se stessi agli occhi degli altri) ha un rischio: mentre si gioca con lo stereotipo, allo stesso tempo lo si riproduce e alimenta. Giocare a fare i terroni può essere insieme un esercizio critico di auto-etnografia ma anche un modo per continuare ad alimentare, magari non volendo, quello stesso cliché. Si tratta del problema dell'auto-etnografia e di una sua specifica versione che chiamerò, seguendo la studiosa Gayatri Spivak, essenzialismo strategico. L'essenzialismo si verifica quando la descrizione delle culture fa leva su stereotipi che semplificano usando opposizioni binarie: noi/loro, Occidente/Oriente, Nord/Sud, civiltà/barbarie, etc. Esso diviene strategico quando coloro che vogliono descriversi agli occhi degli altri usano quegli stessi stereotipi a fini identitari intendendo però rivisitarli. Dunque per farmi conoscere dai non indiani impersonerò l'indiano 'tipico', quella figura di indiano che gli altri si aspettano di trovarsi di fronte. Ecco, questa descrizione di sé, pur a fini emancipatori, rischia di riprodurre quegli stessi cliché che vengono usati in chiave critica.
Quando James Cook e il suo equipaggio arrivarono nelle isole del Pacifico, essi chiesero insistentemente alle popolazioni che le abitavano se fossero aduse all’antropofagia. Gli hawaiani non mangiavano carne umana, mentre i maori erano antropofagi, ma solo come parte di alcuni rituali. Hawaiani e maori, convinti peraltro che gli inglesi fossero a loro volta antropofagi – visto l’aspetto con cui i marinai giungevano sulle isole (coperti di stracci, trasandati e affamati) e l’insistenza nel voler sapere se quelle popolazioni mangiassero carne umana – intuirono che l’antropofagia sarebbe potuta servire a intimidire i loro colonizzatori. Rispedirono così al mittente l’immagine prodotta dalla sua violenza discorsiva ed etnografica: gli hawaiani finsero di essere antropofagi; i maori, esasperarono questo aspetto per “terrorizzare [gli europei] in un contesto di potere sbilanciato, dove le loro vere armi non erano nulla in confronti ai fucili degli europei”. Ecco, ma i maori e gli hawaiiani rischiarono, nel loro esercizio di auto-etnografia strategica, di riprodurre quella stessa immagine da antropofagi che tutto sommato rifiutavano in quanto stereotipata.
Il gioco di specchi dell'autoetnografia, anche quando esso si esprime attraverso l'arte e la musica, si muove sempre sul filo del rasoio, diviso tra il tentativo astuto di emancipazione e il rischio di riproduzione del cliché che si intenderebbe combattere.

9 commenti:

  1. Il dovere uscire da alcuni clichè, non significa esaltarli, ed in questo mi trovi d'accordo.
    Io penso che l'autoesaltarsi, pensando di sè a qualcosa di solo positivo è un errore grave.
    Avvolte ci si dimentica della situazione culturale in cui alcuni clichè nascono ......
    Il qualunquismo e pressapochismo che emerge dal fare politica in calabria è molto simile al paradosismo di Cetto la qualunque, è questo è uno stato di fatto.
    Non ci piace, questa realtà ma non facciamo niente per scrollarcela di dosso

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  2. "non vedo la critica di peppe al''uso della csnzone da parte dell'albanese...
    ora la conosceranno in tanti e ci conosceranno..."
    questo è quello che dicono...
    ma a mio vedere la calabria e il calabrese nn dovrbbero essere rappresentati nel mondo dagli stereotipi che il film propone (questo appare dalle locandine viste in questi giorni anche se il film nn lo visto completamente)..
    vorrei che ad esempio venissimo ricordati per Corrado Alvaro scrittore del romanzo "l'uomo nel labirinto"
    bellissimo ed attualissimo...
    si spiega infatti l'opinione di un romanziere che assiste allo sviluppo industriale delle città ma mette in evidenza anche gli aspetti negativi della cosa ovvero: corruzione, mancanza di sentimenti , agitazione etc
    mi sembra che sia nato a san luca

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  3. Dato che le lettere degli interessati sono state aperte, pubbliche, anche se potevano essere spedite privatamente ad Albanese, senza bisogno di scomodare nessuno, è stata virtualmente spedita anche nella mia cassetta postale. Io sono un modesto e umile artista calabrese. Mi è piaciuta e condivido appieno la sua frase: ''Ora, questo esercizio auto-etnografico (descrivere se stessi agli occhi degli altri) ha un rischio: mentre si gioca con lo stereotipo, allo stesso tempo lo si riproduce e alimenta. Giocare a fare i terroni può essere insieme un esercizio critico di auto-etnografia ma anche un modo per continuare ad alimentare, magari non volendo, quello stesso cliché''. Qualche anno fa cantavo con un gruppo etnico calabrese, con chiari riferimenti di timbriche, armonie, melodie, sfumature musicali prettamente calabri. Si giocava poi nella teatralizzazione del brigante o sull'accentuazione tragicomica dei caratteri tipici, marcando quello goliardico del paesano che fa incetta di salumi piccanti, pastasciutta e quant’altro, o ubriacandosi e con dirompenza vantandosi di essere 'òminu tutti d'un pezzo', crogiuolandosi nell'essere uomo di uomini di mondo, i calabresi, i cchiù furbi i tutt'u munno, ammiccando alle donne, oppure dall’altra parte patendo con lamentosità i tanti problemi che ci assalgono ogni giorno, tutto mescolato in un pastiche con ironia ed esagerazione melodrammatica. E agli occhi degli altri tutto ciò era naturalmente 'maschera', era folklore, una rappresentazione che faceva sorridere; come alcuni bluesmen, che caricavano i loro personaggi nei famosi cakewalk di un secolo fa danzando e cantando in un modo che provocava risate tra il pubblico, pur parlando dei drammi che quella gente soffriva. Insomma, per farla breve, un giorno un ascoltatore del pubblico ironizzò durante una manifestazione divertita del torpedone etnico con delle frasi provocatorie, pensando di armonizzarsi con l'atmosfera da allegra brigata dell’orchestrina, ma con sua somma sorpresa ricevette una risentita reazione del 'direttore' musicale, il quale motivò la sua ira asserendo che non bisognava scherzare sulla faccenda e che si stava facendo una seria 'ricerca etno-musicologica'. Inizialmente, anche per amicizia, fui d’accordo, ma ad un attento esame mi accorsi che c'era una grande contraddizione, proprio quella che teorizza lei, cioè che giocare troppo con gli stereotipi, si finisce per incarnarli. Se si vuole fare i ‘seriosi’, non si usano determinati livelli di linguaggio e d’immagine, e non si usa la macchietta o l’esagerazione, perché si rischia di produrre una reazione opposta a quella che si vorrebbe...(continua)

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  4. (II) Fare ricerca musicale ‘seria’ è tutta un’altra storia, che non ha niente a che vedere con quello che succede nel mondo del ‘commercio’ musicale, avviene a un livello non visibile al pubblico, perché non commerciale. Fare una denuncia ‘seria’ oggi non è una canzone. E’ rischiare la propria vita, rischiare di essere uccisi, come fanno alcuni magistrati, alcuni delle forze dell’ordine, alcuni giornalisti, alcuni documentaristi, alcuni parroci, alcuni professori, alcuni sindaci, alcuni assessori, alcuni umili lavoratori, alcuni uomini comuni. Rischiare di essere uccisi per il bene della gente, senza nemmeno un briciolo di fama. La fama che portano agli artisti le canzoni di denuncia oggi non sortiscono nessun effetto, figuriamoci quelli ammantati di ironia, e la situazione odierna palesa questa idea. Sono lontani i tempi in cui i Risorgimentali scrivevano sui muri ‘W Verdi’ (frase a doppio taglio che inneggiava al Re d’Italia), uno degli idoli dei libertari dell’800, che con le sue opere e i testi ambigui del librettista in cui nascondeva dei messaggi subliminali, dava voce alle istanze di libertà degli italiani dal giogo austriaco. Una canzone oggi, è una canzone. ‘Sono solo canzonette’ diceva Bennato, lui che a quei tempi era un ribelle. Una canzone oggi è smunta da connotati che una volta potevano avere seppur minimi effetti di ribellione nelle piazze: oggi si balla, si fa una canna ed è tutto a posto….(continua) Ora con questa provinciale bagarre si rischia di ridicolizzare il tutto, e portare su un piano che rischia anzi di appiattire il dialogo sulle soluzioni ai problemi, di essere controproducente, di farci vedere come i soliti piagnoni inconcludenti, i soliti pagliacci, e non sortire nessun effetto se non quello di produrre vendite del cd in oggetto, buon per l’autore della parte letteraria e compositori melodisti trascrittori della partitura in oggetto. Ritornando al discorso insomma, mi sembra azzardato accusare Antonio Albanese di aver 'macchiettizzato' la canzone, poiché, come dice il collettivo d’origine stesso, il Parto delle Nuvole Pesanti attraverso i suoi cd e i suoi concerti ha fatto la stessa cosa, ironizzare e illustrare una realtà, lasciando all’ascoltare di fare dei propri versi quel che si vuole, o magari neanche ascoltandoli, ma ballandoci sopra, o solo muovere il piedino spensieratamente. Di conseguenza ne deriva uno scenario ancora più miserabile dell’ipotesi di vedere Burroughs che se la prende con Totò perché questi gli ha deturpato il significato e la portata poetica di Tarzan con Totò Tarzan, o Shakespeare che esce dalla tomba incazzato nero perché lo stesso ha osato girare ‘Totò e Cleopatra’, parodia di ‘Antonio e Cleopatra’ del sublime bardo inglese, una delle opere più grandiose della drammaturgia mondiale di tutti i tempi; Lou Reed non si è rammaricato se una sua canzone è stata cantata storpiata e sbilenca, durante un comico cartone animato, da un personaggio dei Simpson. Lou Reed non si è arrabbiato se qualcuno in oggetto gli ha copiato un riff di chitarra decontestualizzandolo dal suo originario senso poetico musicale (qui apro un quiz aperto a tutti: chi ha copiato il riff di chitarra di The Passenger di Lou Reed e in quale brano?).(continua)

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  5. (III) Se non si sono sdegnati gli studiosi, gli appassionati, i critici e teorici dei geni di ogni tempo, o i geni stessi, sulle parodie, non vedo perché lo si debba fare ora in una situazione relativa. Non vedo perché non si debba essere democratici e perseguire la libertà di parola e di pensiero, dato che qualche soggetto ostenta di predicarne il verbo. Tra l’altro Antonio Albanese, attraverso il suo comico personaggio delirante, ha perfettamente ed esplicitamente delineato a tutti chi sono alcuni nostri politici e che cosa facciano, ha incarnato e impersonato perfettamente una particolare ‘cultura’ del politico calabrese di basso profilo. Ce lo ha fatto vedere con gli occhi e sentire con le orecchie, cosa che non era mai avvenuta in maniera così provocatoriamente e parodisticamente ‘veristica’, probabilmente. E proprio il fatto che il suo personaggio faccia ridere, senza d’altronde fare un esercizio auto-etnografico, data la sua provenienza ‘esterna’ al calabresismo, dovrebbe far riflettere. Ridendo, riflettere sull’assurdità della ‘questione’ calabrese. Della tragicommedia calabrese.
    Gridare all’oltraggio, dopo aver dato tra l’altro il consenso al trattamento della canzone ad Albanese, se non si è stati preventivamente tanto ravveduti da capire che cosa poteva diventare il brano sotto le mani di CettoLaQualunque (e qui si pecca di mancanza di visione della realtà), mi dà il sapore di chi vuole provocare inutilmente. Non ci si prenda troppo sul serio con le canzoni, perché se davvero si vuol far qualcosa per la Calabria, si venga qui, si viva qui, e si investa il proprio tempo e danaro, prendendosi col proprio sacrificio la croce in spalla, poiché chi lo fa costruttivamente, coraggiosamente e onestamente con molta probabilità ne esce fuori ‘curu culu ruttu senza cirasi’, con molte cocenti delusioni e qualche problema psichico, ma avendo gettato un piccolo seme che i nostri figli si spera coltivino più forte e rigoglioso. E un’altra cosa ancora più strana, e che simboleggia ormai la follia del nostro paese, è che queste lettere aperte dei due soggetti contendenti (ancora non capisco perché non se la sono vista a quattr’occhi con Albanese) siano finite nella prima pagina di molti giornali, nonostante i tanti importanti problemi del mondo, quando in paesi più progrediti su queste lettere ci avrebbero fatto un risolino e chiamato il legale della Siae, prima di buttarle velocemente nel cestino.
    Neanche Michael Jackson e Al Bano erano arrivati a tanto.

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  6. caro Skanderbeg, grazie per il tuo appassionato contributo, che più che un commento è un vero e proprio piccolo saggio.
    A ognuno la libertà di fare le proprie valutazioni anche su questo tuo prezioso e discutibile (non nel senso che non se ne convidida l'impianto -- ognuno si farà un'idea --, ma nel senso che alimenta la riflessione, ed è ciò che un contributo deve fare) intervento alla discussione.

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  7. Condivido e sottoscrivo l'intervento di Skanderbeg sulla calabresità in genere e in merito alla polemica su Onda Calabra confermo la mia wildiana tesi del "bene o male purché se ne parli": imho Peppe non è stato granché lungimirante e poi ha cercato di sfruttare la popolarità del momento per trovare un po' di eco sui media. La risposta del Parto probabilmente non ha i medesimi intenti, se non altro perché è seguita allo "sfogo" voltarelliano, ma ottiene comunque lo stesso risultato.
    Rimanendo in ambito regionale, faccio presente che per rappresentare i Calabresi nel Mondo è stata recentemente scelta La Prof.ssa Pina (Mengano) Amarelli, una calabrese d'adozione (è di natali pugliesi e cresciuta a Napoli) ed imprenditrice di successo, quasi a dimostrare che la calabresità la comprende e dunque la può meglio "vendere" solo chi la vive e guarda da una prospettiva non radicale (in tema di liquirizia...).
    [Ad ogni modo: il riff di chitarra di The Passenger (che mi risulta di Iggy Pop, anche se coverizzato da molti tra cui anche Lou Reed e che se non erro ha i cori registrati da David Bowie) ha sicuramente "ispirato" i Green Day per Holiday. Hovvintoquacchecosa?]

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  8. Caro Sig. Rob, forse ha ragione sulla paternità della canzone, che è cantata anche da Lou Reed ma probabilmente è di Iggy Pop. Comunque il gruppo che copia il riff di The Passenger è ancora più copiante dei Green Day, dato che lascia intatta la tonalità e soprattutto l'ESATTA SEQUENZA DI ACCORDI e l'intenzionalità del timing (nei Green Day cambia un pò il giro di accordi), basta solo velocizzarlo. Se esistesse il copyright sui riff (e dato che sono un fondamento di un pezzo rock dovrebbero introdurlo nei parametri dei depositi Siae), altro che plagio, proprio copia e incolla. Prenda Raggia del Parto, la compari con The Passenger di Iggy Pop e poi lei che è musicista mi faccia sapere... Striscia la notizia è pronta col tapiro

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  9. anche io sig skanderbeg pensavo a raggia

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