sabato 30 ottobre 2010

Considerazioni su razzismo, pregiudizi e immigrazione a partire da un caso di cronaca. Con alcune riflessioni sociologico-statistiche


I. "Io non sono razzista, però..." 
(di Francescomaria Tedesco) 


La terribile notizia dell'aggressione subita da Anna Brogno e Riccardo Voltarelli al loro rientro a casa ha scosso l'intera comunità. L'amarezza per questa vicenda, la tristezza di vedere ridotte a mal partito due persone a cui tutta una comunità è legata da rapporti di affetto, parentela, rispetto, amicizia è stata grande. Come grande è stata la solidarietà alla famiglia Voltarelli. Solidarietà espressa da tutti, senza se e senza ma. E' un bene che quella comunità si stringa attorno ad Anna e Riccardo, e che faccia sentire loro la solidarietà che meritano di fronte al bestiale attacco che li ha visti vittime incolpevoli. E' un bene se una comunità si prende carico dei propri membri, li difende, li protegge, li accoglie, li consola. E' un bene se una comunità chiede giustizia.
Diversi giorni sono ormai passati. Ma la violenza, con il suo strascico di considerazioni, polemiche, schizofrenie varie non si è fermata. A parte i casi quotidiani e terribili (ultimo il caso di Sarah Scazzi, che ha dato vita a un terrificante 'circo mediatico') ve ne sono alcuni che sollevano nell'opinione pubblica, e non sempre a proposito, altri temi: la sicurezza, il rapporto tra culture, l'immigrazione, etc. E' il caso dell'omicidio dell'infermiera rumena Maricica Hahaianu da parte di un giovane italiano che la ha colpita con un violento pugno. Naturalmente il fatto che ad aggredire la donna rumena sia stato un italiano non ha scatenato il solito codazzo di polemiche, sia perché la vittima non era italiana, sia perché l'aggressore lo è. Così in Italia tutto tace, persino di fronte a uno striscione esposto dagli amici dell'aggressore con su scritto "Alessio [l'omicida, n.d.a.] libero". Cosa che naturalmente ha fatto infuriare i rumeni.
Non che Crosia non fosse mai stata lambita da atti di violenza. Si ricordano fatti gravissimi (il tentato omicidio di una donna colpita al volto da diversi proiettili di arma da fuoco; pestaggi, accoltellamenti, macchine bruciate, come nel recentissimo caso di cui è stata vittima una dipendente del Comune di Crosia).
Si diceva solidarietà, dunque. 
 Accanto alla solidarietà occorre, tutti insieme, tentare di fare dei ragionamenti, affinché le emozioni, sempre legittime in casi del genere, ma talvolta incontrollate e incontrollabili, non diano adito a strumentalizzazioni e a interpretazioni fuorvianti della realtà. E occorre che i ragionamenti siano rispettati, non valutati sulla base delle emozioni. Né è permesso a nessuno di ritenere che per il solo fatto di tentare di formulare un ragionamento, di esprimere le proprie convinzioni di cittadino, automaticamente quella solidarietà di cui si parlava venga meno. Niente di più falso e di più offensivo che costruire un'equazione di questo genere. Ragionare sull'accaduto, ma soprattutto sugli avvenimenti successivi all'aggressione, non ha niente a che vedere con l'incondizionata solidarietà ai Voltarelli. L'unica risposta a un ragionamento è un altro ragionamento, non l'infantile e piccato arroccamento. Infantile e piccato come quello di coloro che invece di rispondere sugli argomenti sollevati, hanno sostenuto che la si volesse buttare in politica. Come si evincerà più oltre, chi ha voluto buttarla in politica sono i politici stessi, e per scopi diversi e forse non sempre nobilissimi.
Dunque qui si chiarirà una volta per tutte, e per esteso (cercando peraltro di fare un discorso più generale), la posizione di chi ha cercato di ragionare. In questo modo ci sottoponiamo alla valutazione (si spera attenta) di chi legge, in modo aperto alla discussione critica. Tenendo fermo il rifiuto della violenza, che però detta così non vuol dire niente, è come sostenere di essere per la pace nel mondo. Occorre declinare queste generiche affermazioni.
Partiamo dalle reazioni 'istituzionali'. Per il 9 ottobre l'amministrazione comunale di Crosia ha indetto una manifestazione per le vie del paese. Ebbene, il sindaco Aiello, con avventatezza e imprudenza, ha messo in atto già dalle prime parole del suo comunicato stampa un ragionamento stigmatizzante, collegando i "fenomeni delinquenziali", i "furti in appartamenti" e i "gravi episodi che incidono sulla sicurezza e sulla serenità della popolazione" al fenomeno migratorio, e rispondendo alla violenza dell'aggressione con un tardivo quanto improvviso appello al controllo del rispetto della legalità. In cosa dovrebbe tradursi questo rispetto? Nell'ottemperanza alla legge che prevede di segnalare le persone a cui vengono affittati degli appartamenti, cosa che peraltro vale sia che gli affittuari siano italiani, sia che siano stranieri.
L'equazione del sindaco è stigmatizzante, individua un colpevole, lo addita, ne stabilisce le responsabilità e lo espone alla critica dei cittadini. Ma chi è questo colpevole? Sono forse i 4 aggressori della coppia Anna-Riccardo? No. Con una piroetta argomentativa che denuncia tutta la matrice discriminante del comunicato stampa, si dice che siccome due anziani sono stati aggrediti '(presumibilmente', aggiungerei: così bisogna scrivere dato che le indagini sono in corso) da quattro 'stranieri', allora occorre che chi ha affittato case a stranieri comunichi la cosa all'autorità competente. E' evidente la maldestra equazione: succede un fatto criminale, probabilmente o certamente commesso da alcuni immigrati, e la risposta riguarda tutti gli immigrati. Come evitare di associare questi esempi al caso del comune di Gavardo (BS), dove il sindaco aveva deciso la schedatura delle residenze degli immigrati? Per fortuna l'iniziativa è stata bloccata dal prefetto.
Ma non è qui in discussione il ruolo dell'attuale amministrazione comunale (la quale ha successivamente tentato di mettere una pezza con un secondo comunicato stampa). Penso che le precedenti, Forciniti e Russo comprese, non avrebbero certo fatto di meglio. Perché? Perché né l'amministrazione Forciniti né quella Russo si sono minimamente sognate, come questa del resto, di attivare politiche di integrazione degli stranieri presenti sul territorio di Crosia. Nessuna politica sociale che li riguardasse. I soldi a disposizione del Comune servono per fare altro, invece delle politiche sociali. Con il risultato che al primo motivo di scontro (sarebbe potuto essere una partita di calcio, una parola fuori posto, uno sguardo giudicato 'malizioso' a una donna o a un uomo) il tappo salta. E infatti è saltato.
Potremmo qui citare un florilegio di opinioni razziste e/o discriminatorie circolate per il paese e sui social network come Facebook. Pescando in quest'ultimo si va da "fuori i clandestini dalla nostra terra e carcere a chi gli da alloggi senza dichiararli! è ora di finirla..." a "brutte bestie!!!!!!! tutti ubriaconi e delinquenti.......... TUTTI!!!!", da "troppo marciume da oltre confine arriva nella nostra terra...ecco i risultati,e' un via vai continuo senza controllo..." a "Li voglio FUORI DALLA MIA VITA, FUORI DALLA VITA DEI MIE CARI E FUORI DALLA VITA DEL MIO PAESE!", da "Uniti contro la violenza che subiscono gli italiani dagli extracomunitari! Ripaghiamoli con la loro stessa moneta cazzo!!! Le parole non servono a nulla, ci stanno portando alla rovina in tutto... Facciamo i fatti!!! Spranghe e manganelli per l'amor dei nostri fratelli!!!"a "si deve fare un po di pulizia". Qualcuno ha postato video delle milizie nazi-fasciste, qualcun altro ha pronunciato e scritto la classica frase "ti fanno diventare loro razzisti", aggiungendo "mio padre e' stato 20 anni in germania ma a [sic] pagato tutti i diritti ed e' stato con due piedi in una scarpa". Molti hanno proposto le ronde. Questo florilegio è, al contrario di quanto si possa pensare, non un'estrapolazione di un cancro da un contesto sano, ma il carotaggio in un contesto infetto. Tutti coloro in grado di riconoscere un discorso razzista si sono imbattuti molte volte in discorsi del genere.
Insomma, l'episodio ha, come si diceva, fatto saltare il tappo, complice il fatto che a essere colpita è stata la famiglia di una persona conosciuta da tutti come il cantante Peppe Voltarelli.
A complicare le cose si è aggiunta anche qualche "voce dal sen fuggita". Il dolore, si sa, porta a dire cose a volte molto sbagliate, a formulare vere e proprie minacce indiscriminate e a parlare indebitamente a nome di una comunità prospettando perfino l'ipotesi che i bambini di "questa gente" (sic) non venissero più accolti nelle scuole. E non vale l'argomento 'avrei voluto vedere te nella mia stessa situazione': certe affermazioni sono sempre sbagliate.
Ma quali sono le questioni che l'episodio di Crosia solleva? Riteniamo esse siano due: l'indebita sovrapposizione tra criminalità e immigrazione da un lato, il silenzio di cittadini e istituzioni rispetto ad altri fenomeni di degrado civile e di criminalità che colpiscono la comunità di Crosia, il circondario e la Calabria tutta, dall'altro.
Sulla prima questione occorre dire con forza che un evento delittuoso presumibilmente a opera di immigrati (lasciamo da parte l'ignoranza -- che ha però un rapporto con la discriminazione -- che porta a definire i rumeni, ad esempio, degli 'extracomunitari') non getta automaticamente su tutta una comunità di stranieri  in grandissima parte pacifici una luce sinistra. Non è consentito dalle regole del ragionamento ordinario di rispondere con argomenti sull'immigrazione a una questione che riguarda la criminalità. Si vuole parlare dell'immigrazione? Benissimo, lo si faccia, ma non in relazione con un evento delittuoso. Sarebbe come dire che siccome un rossanese ha accoltellato un crosioto, dal giorno dopo vanno ridiscussi i rapporti con Rossano e con i rossanesi. Una vera idiozia.
Viene però un malizioso dubbio: perché invece ciò accade? Perché se succede un evento delittuoso, seppure a opera di immigrati, lo si sovrappone alla questione dell'immigrazione? Chi trae un beneficio da ciò?
Ne traggono beneficio gli imprenditori della paura. E' noto a tutti gli studiosi di criminalità così come a quelli di discriminazioni e razzismo che una comunità si costruisce anche in opposizione a ciò che è altro da sé, all'altro, al diverso. Ed è l'altro che fa paura, è l'altro che delinque. Ciò da un lato consola e rafforza il legame sociale, dall'altro autorizza politiche securitarie che sospendono i diritti civili in nome della sicurezza dei cittadini, attanagliati da una paura spesso puramente indotta dai media. Dunque qualcuno lucra su questi eventi.  Anche coloro che rappresentano le istituzioni e in occasione di eventi del genere tentano di confondersi tra la gente comune fanno un'operazione truffaldina: se si chiede giustizia alle istituzioni, chi manifesta a fianco dei cittadini fingendosi un normale cittadino sta chiedendo giustizia a chi? A se stesso? Sta criticando chi? Se stesso per non aver ottemperato prima? Poi ci sono quelli che, piuttosto che trarne un beneficio politico (come gli esponenti della destra ex-fascista che si sono affrettati a esprimere solidarietà ai Voltarelli), 'ingenuamente' alimentano la paura, si accodano, si fanno prendere dallo schema immigrazione=criminalità. E' anche degli utili idioti che si serve la logica securitaria. In questo modo non avvedendosi che vendono la propria libertà per ottenere sicurezza, e così facendo dimostrano, per parafrasare Benjamin Franklin, di non meritare né l'una né l'altra. Non è un caso che quella stessa logica abbia, mutatis mutandis, dato luogo negli Stati Uniti post l1 settembre al Patriot Act che sospendeva alcune guarentigie. L'Europa si sta avviando velocemente su quella strada. Da anni ormai la Lega Nord di Umberto Bossi cavalca il facile sentimento razzista di una parte della popolazione italiana. Prima la Francia di Le Pen, l'Austria di Haider (omofobo e xenofobo, salvo scoprire dopo la morte che frequentava locali gay e che aveva un tesoro all'estero), l'Italia della Lega. Fino a Sarkozy, responsabile di un'ignobile campagna contro i rom e di un aberrante discorso, tenuto a Grenogle, nel quale il presidente francese ha sostenuto la necessità di togliere per indegnità la cittadinanza francese agli autori di reati che fossero di origine straniera, e così ricalcando le misure xenofobe che proprio la Francia inaugurò nel 1915 attraverso la denaturalizzazione dei propri cittadini di origine 'nemica'. La Francia fu seguita, nel 1922, dal Belgio, che decise di revocare la cittadinanza agli autori di 'atti antinazionali' , dall'Italia fascista che applicò tale denaturalizzazione ai cittadini "indegni della cittadinanza italiana", dall'Austria su su fino alle leggi di Norimberga sulla difesa della 'cittadinanza del Reich' e sulla protezione del sangue e dell'onore tedesco.
La società meridionale italiana era sempre sembrata, forse solo a un'indagine superficiale, immune dal virus del razzismo. Rosarno, Villa Literno, i campi della Puglia e la sparizione di diversi cittadini polacchi e altri episodi dimostrano il contrario. Non c'è più solo la Lega. E non c'è bisogno di sparare agli immigrati perché si percepisca il clima razzista. Un clima messo in luce molto chiaramente dal documentario Nìguri di Antonio Martino e che racconta la difficilissima 'convivenza' degli ospiti del centro d'accoglienza Sant'Anna (Crotone) con gli abitanti autoctoni del luogo. Un clima latente, molto diffuso. Per comprenderne la diffusione basta fare un semplice esperimento mentale: leggere i manifesti della Lega Nord contro gli immigrati e chiedersi "a quante persone che conosco ho sentito fare questi discorsi?".
Ma veniamo alla seconda questione: la proiezione dei mali di una società su un nemico esterno, straniero, rassicura e rende inclini ad evitare di pensare ai mali di quella stessa società. Si tratta di un meccanismo identitario, una macchina per creare un gruppo sociale. Un modo anche per mantenere coesa, nelle intenzioni di chi usa questi strumenti, una comunità. Noi-loro è la coppia opposizionale dicotomica. E se toccano 'uno di noi' ci si stringe attorno a lui. Se toccano 'uno di loro', no.  Tuttavia, mentre due anziani vengono barbaramente picchiati, la Calabria sprofonda nel fango della 'ndrangheta, fenomeno non propriamente allogeno. Mentre il presidente della Provincia di Cosenza Oliverio esprime la propria solidarietà ai coniugi Voltarelli un giornalista calabrese va in televisione ad Annozero a dire di essere stato minacciato e quando l'intervistatore gli chiede "Di cosa ti stavi occupando?" la risposta è "Di un collaboratore del presidente Oliverio". Insomma, è in atto una portentosa schizofrenia che consente di ignorare bellamente i problemi più gravi della Calabria per occuparsi di quelli più 'comodi' da affrontare. In tutto questo pesa l'assenza totale di una società civile (se escludiamo le poche frange illuminate) degna di questo nome e di un giornalismo con la schiena dritta che racconti i fatti e non riproduca veline. Il giornalismo che lo fa o viene minacciato o viene licenziato. Questa schizofrenia però non riguarda soltanto i mali più generali della Calabria sul terreno della criminalità organizzata. Essa riguarda anche la questione dell'immigrazione, messa per l'appunto indebitamente in relazione con la criminalità. Difatti mentre si sovrappone la questione della criminalità a quella dell'immigrazione, si realizza invece un sistema di vero e proprio sfruttamento dell'immigrazione da parte degli autoctoni. Non è infrequente ascoltare di immigrati pagati 500 € al mese per 12 ore di lavoro al giorno, senza diritti, con la minaccia del 'licenziamento' usata come arma di ricatto. A questa situazione di sfruttamento, a questa indecenza, non c'è alcuna risposta istituzionale. Nessun comunicato stampa che parli dei problemi dei migranti. Nessuna manifestazione per il rispetto delle leggi sul lavoro (sono leggi  dello Stato anch'esse, non solo quelle che prescrivono di segnalare la presenza di affittuari) o per la difesa della dignità umana.
Una singolare schizofrenia che salta ancor di più all'occhio quando ci si mobilita per altre cause.
Ma il rispetto della legge e il rifiuto della violenza devono essere espressi sempre e verso chiunque. Senza costruire facili bersagli che distolgano l'attenzione dai veri cancri della terra di Calabria.

II. Trasformazioni demografiche e criminalità
(di Eugenio Arcidiacono) 


La popolazione italiana negli ultimi vent’anni ha registrato un cambiamento senza precedenti, soprattutto grazie all’immigrazione. Questo straordinario sviluppo della presenza immigrata ha riguardato anche i comuni del Mezzogiorno, notoriamente votati all’emigrazione. A Crosia, per esempio, la popolazione immigrata è cresciuta in modo significativo, passando, tra il 2003 e il 2010, da 80 a oltre 500 residenti (una crescita che supera addirittura il 600% mentre a livello nazionale, nello stesso periodo, è stata del 300% circa). Tra questi immigrati, 6 su 10 sono donne e oltre due terzi provengono da paesi comunitari (Romania, Bulgaria, Polonia) (v. i grafici).  [Per una visualizzazione migliore clicca sui grafici]




Fonte: Istat, Popolazione residente



Va ricordato che questi dati riguardano esclusivamente gli stranieri regolari, cioè persone provviste di residenza o di una carta di soggiorno. A questi andrebbero aggiunti i cosiddetti irregolari, il cui numero è per definizione oscuro, sommerso. Sommerso esattamente come il lavoro che essi svolgono, spesso in una condizione di precarietà, di ricatto o di sfruttamento, come del resto succede in tante altre parti d’Italia. E’ molto probabile, dunque, che la presenza straniera nel comune vada ben oltre le oltre cinquecento presenze ufficiali.

Ora, al di là del problema delle presenze irregolari, un aspetto questo che comunque andrebbe seriamente approfondito, una lettura attenta dei pochi dati appena citati dovrebbero suggerirci quantomeno che siamo di fronte a un fenomeno ben più ampio e complesso della migrazione dei venditori ambulanti degli anni Ottanta. Non esiterei ad affermare che ormai siamo di fronte a un fenomeno strutturale, col quale, anche un piccolo comune del Sud Italia come Crosia, nel bene e nel male, è chiamato a confrontarsi. Di ciò bisogna prenderne atto il prima possibile, cittadini e istituzioni, possibilmente liberi da qualunque pregiudizio e con la sensibilità di chi ha vissuto in prima persona l’esperienza della migrazione (come si presume sia successo a tanti cittadini di questo comune). Bisogna acquisirne coscienza se non altro perché queste persone nel frattempo vivono esperienze simili alle nostre: lavorano e producono beni e servizi per il funzionamento della società, consumano, si sposano, si riproducono, frequentano scuole, si ammalano, ricorrono ai servizi sanitari, sono vittime e alcune anche autori di reato.

E qui vengo al punto centrale di questo intervento. In Italia, è abbastanza diffusa l’opinione secondo la quale l’aumento della criminalità sia un fenomeno recente e che tale aumento vada attribuito alla presenza degli immigrati. In effetti, se ci limitiamo ad osservare i dati giudiziari, va dato atto che in questi ultimi vent’anni il contributo degli stranieri alla criminalità è stato davvero elevato. Faccio alcuni esempi: dal 1990 a oggi, i denunciati per furto di origine straniera sono passati dal 14 al 49%, per rapina dal 6 al 33%, per omicidio dal 6 al 24% e per lesioni volontarie dal 5 al 29%. Sempre nello stesso periodo, la presenza straniera nelle istituzioni di detenzione è cresciuta dal 15 al 37% e la quota degli ingressi in carcere dal 17 al 50% [Ministero dell’Interno, Ministero della Giustizia e Istat, vari anni].

Il lettore capirà che dati di questo tipo, essendo particolarmente preoccupanti, sono utili per costruire consenso. E, infatti, un partito come la Lega Nord, che nel suo delirio di onnipotenza auspica l’autarchia della cosiddetta Padania, se ne serve a profusione, smuovendo quei sentimenti razzisti e discriminatori striscianti nel ventre non solo del Nord Italia ma, temo, di tutto il paese.

Ora, è appena il caso di ricordare che questi dati presentano molti limiti, i quali debbono essere necessariamente spiegati se non si vuole avere una visione distorta della realtà. Cito i più importanti:

  1. Innanzitutto va detto che la crescita dei reati in Italia risale a molto tempo prima che arrivassero gli immigrati. Tutti gli studi sulla criminalità ci dicono infatti che le denunce hanno iniziato a crescere con lo sviluppo economico degli anni ’50 e ‘60, il quale, aumentando il benessere delle persone, ha fatto sì che si creassero molte più opportunità per chi volesse commettere reati (soprattutto furti, i quali rappresentano i reati più frequenti e che hanno registrato la crescita maggiore in questi ultimi cinquant’anni).

  1. Va ricordato, inoltre, che la stragrande maggioranza dei reati è commessa da ignoti (si pensi che più di 9 furti su dieci sono ad opera di sconosciuti) e addirittura moltissimi sfuggono alle rilevazioni statistiche perché non sono denunciati (soprattutto i furti).

  1. E, infine, va segnalato che nelle statistiche giudiziarie, da cui sono tratti i dati citati prima, gli immigrati sono spesso sovrarappresentati rispetto al peso effettivo che gli stessi hanno sulla popolazione. Questo perché, come spesso accade, nei confronti dello straniero vi è sempre una particolare attenzione da parte delle forze dell’ordine, della magistratura e degli stessi cittadini. In altre parole, un immigrato, in virtù di non appartenere alla comunità, ha molte più possibilità di essere fermato, controllato e denunciato di un italiano. Quindi, se il numero dei denunciati immigrati risulta maggiore di quello degli italiani è perché le istituzioni dedite al controllo sociale e la stessa società praticano una sorta di selettività nei loro confronti (li tengono maggiormente sott’occhio). Aggiungo, che se la presenza straniera in carcere è cresciuta in modo esponenziale in questi anni non è dovuto tanto ad una maggiore propensione al crimine di queste persone ma perché gli immigrati, non possedendo spesso una dimora propria, usufruiscono molto meno degli italiani degli arresti domiciliari, attendendo di solito la sentenza definitiva in carcere.

Dinanzi a fatti così evidenti, chi si sentirebbe di affermare ancora che gli immigrati sono delinquenti e gli italiani no? Chi si sentirebbe di dire che in Italia c’è la criminalità per colpa degli stranieri? Io no, perché se lo facessi sarei poco obiettivo. Eppure temo che questo modo di vedere la realtà sia molto diffuso in Italia, e non solo nella fantomatica Padania.

Ora, non sostenere queste tesi non significa affatto pensare che gli immigrati sono tutti onesti e rispettosi delle leggi dello stato. Sarebbe sciocco da parte mia, visto che alcuni di essi si trovano in carcere. Sono consapevole anch’io che tra gli immigrati, esattamente come succede per gli italiani, ci sono anche persone dedite al crimine. E sono il primo a dire che queste persone, a prescindere dalla loro provenienza, devono essere punite secondo la legge. Tuttavia, un conto è avere questa consapevolezza, altra cosa invece è condividere posizioni razziste e discriminatorie contro tutti gli immigrati come quelle che sono emerse a Mirto in seguito al grave episodio di violenza che ha colpito la Famiglia Voltarelli e alla quale va anche la mia solidarietà. Non le condivido perché, oltre ad essere ingiuste, le ritengo anche molto pericolose per la serenità della comunità. A maggior ragione ora che il fenomeno dell’immigrazione non è più marginale ma, come ho appena cercato di dimostrare, rappresenta una componente strutturale della società. Diventa allora necessario confrontarsi serenamente con questo delicato fenomeno, mettendo da parte pregiudizi e risentimenti, anche in presenza di fatti di violenza gravi come quello che ho appena citato.

La criminalità - non importa se si tratta di microcriminalità, criminalità organizzata, criminalità straniera o italiana - limita il diritto di libertà di ciascuno di noi. Di questo è bene prenderne coscienza una volta per sempre, soprattutto in una regione come la Calabria dove la criminalità organizzata spesso controlla questo diritto, decidendo a suo piacimento sulla vita e la morte delle persone (proprio ieri l’Arpacal ha confermato l’inquinamento da rifiuti tossici del fiume Oliva nei pressi di Amantea, causa questa delle morte per tumore di molte persone di quella comunità). Allora è necessario contrastare la criminalità, sia attraverso le norme penali sia attraverso la diffusione della cultura della legalità sia, infine, con politiche sociali che riducano le ingiustizie e le diseguaglianze. Riguardo all’immigrazione, non si tratta qui di abbassare il livello di guardia nel controllo del territorio, nell’applicazione delle leggi e delle relative sanzioni, ma con uguale forza è importante mettere al centro dell’azione politica (soprattutto dei governi locali) politiche dell’accoglienza e dell’integrazione, senza le quali la gestione di un fenomeno così complesso sarebbe votata al fallimento.

Io penso che l’immigrazione possa rappresentare un’opportunità importante per la Calabria. Questa opportunità va solo saputa cogliere, con intelligenza e apertura verso lo straniero. Lo penso sul serio perché è solo aprendosi ad altre culture che questa disgraziata regione può uscire dall’atavico e grave immobilismo che la contraddistingue, purtroppo anche rispetto alle altre regioni del Meridione. Sarebbe auspicabile che questo confronto con gli stranieri partisse proprio da un comune come Crosia, il quale, negli ultimi anni, ha visto crescere la presenza straniera in modo straordinario e dove ormai l’immigrazione, volente o nolente, sta ridisegnando il suo tessuto sociale. I commenti superficiali e stereotipati sugli immigrati circolati in paese dopo il grave episodio di violenza di qualche giorno fa, mi fanno supporre che tutto ciò sia molto difficile da realizzare.

Ieri è stato presentato a Roma il Rapporto annuale sull’immigrazione curato dalla Caritas. Dal Rapporto emerge che gli stranieri regolari in Italia sono quasi 5 milioni. Questi assicurano allo sviluppo dell’economia locale un contributo notevole: rappresentano il 10% degli occupati come lavoratori dipendenti, sono titolari del 3,5% delle imprese, incidono per l’11,1% sul prodotto interno lordo, pagano 7,5 miliardi di euro di contributi previdenziali, dichiarano al fisco un imponibile di oltre 33 miliardi di euro. La spesa sostenuta dallo stato nei loro confronti e i contributi versati dagli stessi va a tutto vantaggio dell’Italia. Grazie a loro, infine, i bilanci Inps sono tornati in attivo. Insomma, mi sembra di capire da questi dati che l’immigrazione aiuta, e non di poco, l’economia di questo paese.

Concludo con quanto scriveva l’Ispettorato per l’immigrazione statunitense riguardo agli italiani agli inizi del secolo scorso. Mi sembra interessante inserirlo in questo testo perché fa riflettere, vorrei solo segnalare l’enorme importanza che gli italiani hanno avuto per la crescita degli Stati Uniti e ricordare che il capo attuale della CIA è figlio, guardacaso, di due emigranti calabresi e si chiama Leon Panetta.

“Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali”. La relazione così prosegue: “Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più.
La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”(1).

(1) Il testo citato è tratto da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912

2 commenti:

  1. non credo sia solo come dicevi un cercare di distrarre l'attenzione..
    a mio vedere c'è di più...
    in questi giorni per le vie del paese ci sono gruppi di "ANGELS" che
    ti offrono un pacchetto comprendente la vigilanza diurna e notturna ed un allarme per il negozio tutto per una modica cifra ihihihihih

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  2. io non dico che 'serve solo' a distogliere l'attenzione... dico che purtroppo ha -- consapevolmente o inconsapevolmente -- anche questa tragica funzione....

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