sabato 14 maggio 2011

Il pane e le rose. Sul lavoro a Crosia



Il 1° maggio in molte parti del mondo si è festeggiata la Festa del lavoro, o Festa dei lavoratori. Ché proprio le lotte operaie per la riduzione dell'orario di lavoro portarono all'istituzione di una giornata celebrativa. Ciò ebbe origine negli Stati Uniti, paese che però oggi non festeggia il Labor Day il 1° maggio ma ogni primo lunedì di settembre.
L'Italia repubblicana, che già dall'articolo 1 della Costituzione richiama il valore del lavoro, riconosciuto  poi come un diritto costituzionalmente garantito all'art. 4, ovvero tra i Principi fondamentali del nostro ordinamento. Eppure il diritto al lavoro è quotidianamente mortificato non solo e non tanto per il dato tecnico-giuridico che esso non può essere esigibile dai suoi titolari davanti a una corte (in altre parole, non si va dal giudice a rivendicare il diritto al lavoro e il giudice risponde trovando un lavoro al ricorrente), ma dalle condizioni in cui si lavora, dalle morti bianche, dalla disoccupazione (in particolare giovanile e femminile), dallo sfruttamento e dal suo doppio, la precarietà, che rende i lavoratori dei contraenti deboli incapaci di opporsi al già fortissimo potere di coloro che una volta venivano chiamati 'padroni'.
Di questa debolezza contrattuale - e della colpevole cecità su essa da parte di alcuni sindacati e dei partiti politici - si è discusso in particolare in occasione dell'ultima Festa dei lavoratori, due domeniche fa. A innescare la polemica è stata la decisione del sindaco di Firenze Matteo Renzi di emettere un'ordinanza che prevedeva l'apertura dei negozi durante il giorno di festa. Il sindaco si è difeso dagli attacchi e dalle critiche ricordando che l'ordinanza rendeva 'facoltativa' l'apertura delle attività commerciali.
Naturalmente è piuttosto facile arguire che la facoltatività di cui parlava in sindaco-rottamatore così amato a destra (e non solo) riguardasse non i lavoratori, ma i proprietari delle attività.  A costoro veniva demandata la scelta se aprire i negozi oppure no. Ora, anche un cieco vedrebbe quanto tale scelta abbia umiliato i lavoratori, non soltanto perché costretti a lavorare nel giorno della loro festa, ma proprio perché l'ordinanza conferiva, proprio per quel giorno, un ulteriore, irritante potere ai datori di lavoro. Per tacere poi dell'ideologia che sottende l'ordinanza, ovvero un modello consumistico che ingnora una festività solenne per consentire alla massa di cittadini-consumatori non tanto di meditare sul lavoro come focus della società contemporanea, quanto di dar seguito a quella che Luciano Bianciardi avrebbe chiamato la febris emitoria. E del resto siamo nel paese in cui perfino la pubblicità umilia e sbertuccia i diritti fondamentali e il lavoro e solletica i più bassi istinti consumistici: basti guardare la pubblicità delle 'Gocciole Pavesi' in cui un Tarzan irritato per lo sciopero dei trasporti nella savana, apostrofa le bestie atte al servizio con un rotondo "animali!"; basti guardare la pubbicità della Trony, che ritrae un gruppo di giovani in coda per entrare a una mostra sul futurismo, disertata non appena si scopre che il negozio di elettrodomestici offre promozioni e sconti.
Lavorare secondo il gusto e la voglia del 'padrone', dunque; e consumare a oltranza. In una società in cui ci si dovrebbe sempre più liberare dall'incubo del lavoro, si lavora sempre di più e con sempre meno diritti, come ha insegnato il modello Marchionne fieramente osteggiato dal segretario della FIOM Maurizio Landini.
Ma per comprendere quanto l'attenzione a queste tematiche sia sempre minore e quanto anche la sedicente sinistra non si faccia carico del problema (talvolta invece apertamente condividendo il modello-Marchionne: è ancora il caso di Renzi) è utile fare un viaggio alla periferia dell'impero. A Crosia, per il 1° maggio, l'amministrazione di centro-sinistra a guida PD ha pensato bene di emulare Renzi e ha emesso un'ordinanza in cui autorizza gli esercizi commerciali all'apertura, gliene dà - per così dire - facoltà.
Ciò che qui interessa non è tanto sapere quanti negozi hanno aperto i battenti il 1° maggio a Crosia e quanti lavoratori sono dovuti andare a lavorare e non a festeggiare. Ciò che rileva è la dimensione simbolica, per di più in un territorio nel quale il lavoro è una nota dolentissima non solo per il tasso di disoccupazione e per il lavoro in nero, ma per l'esiguità dei salari percepiti e per il livello di sfruttamento della manodopera italiana e soprattutto straniera. In quel territorio, piuttosto che dare la facoltà ai 'padroni' di aprire persino il 1° maggio, occorrerebbe promuovere politiche per il lavoro e diffondere una cultura della legalità e del rispetto per il lavoratore. Per non sentire più di lavoratori pagati 20 o 30 euro al giorno, di commesse che vanno a lavorare per 300 euro al mese, di manovali che prestano la propria opera in condizioni di totale insicurezza, di discriminazioni tra lavoratori italiani e lavoratori stranieri, di truffe all'Inps, di buste paga taroccate. E per tornare alla gloriosa tradizione di lotte contadine per la terra e per il lavoro, lotte che nobilitarono il Sud prima che esso sprofondasse nell'inferno del clientelismo e del malaffare. Lotte rinnovate solo grazie al coraggio della massa dei nuovi servi della gleba, gli immigrati, che in cambio ne hanno avuto, dai calabresi e dalle istituzioni, critiche, disprezzo e la deportazione forzata.
E invece il lavoro, una volta 'cavallo di battaglia' della sinistra, è all'ultimo posto nell'agenda dell'amministrazione crosiota (di tutte le amministrazioni crosiote): non pane e rose, non pane e lavoro, ma solo panem et circenses.

4 commenti:

  1. sisi, ma nn credo il nostro malumore possa terminare per cosi poco...

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  2. Mi piace, si, mi piace questo tuo parallellismo tra Firenze e Crosia, la festa dei lavoratori in queste realtà ha messo ancora una volta il dito nella piaga..........
    Una volta, durante una riunione non mi ricordo di cosa, un eminente esponente della pseudosinistra, faceva una considerazione amara "se avesse fatto B. quello che abbiamo fatto noi in questi ultimi anni in materia del sociale (riforma delle pensione, instaurizazione del precariato, trasformazione privatistica della sanità, privitazzazione del lavoro, privitazzazione delle FS e delle poste e così via), molto probabilmente ci sarebbe stata un'insurezzione popolare"
    La cosa buffa che queste retroriforme sinistroide da strapazzo, erano state messe in atto per combattere il B., con una ventata di liberazione dal pubblico, vi ricordate "il privato è bello, il pubblico è uno spreco continuo"
    Ora i conservatori delle proprie poltrone, i voltagabbani dei scranni parlamentari, i sindaci "innovativi", che altro possono inventarsi se non soprimere quei pochi diritti rimasti, alla Marchionni per indenterci?
    La CGIL (di cui fa parte la FIOM) è rimasto ormai l'unico soggetto sociale che crede ancora a quei valori costituzionali, e per questo è un pericolo, e si cerca di demolirla dall'interno, creando correnti fittizie e pilotate ad arte dai pseudosinistroidi, e dall'esterno delegittimandone la propria funzione.
    Mi auguro che i comunisti iniziano a rinsarvire, ed ad unirsi intorno ad un idea vecchia e ancora nuova :"LA DIFESA DEI LAVORATORI E DEGLI SFRUTTATI DI TUTTO IL MONDO", e non perdersi dietro a qualche veggente sinistroide che a la freccia accessa verso il centro.........
    Viva la CGIL, Viva la FDS (Federazione della Sinistra)

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  3. grazie cata', condivido quello che hai scritto.
    se fosse per me, tornerei addirittura alle statalizzazioni (ma fatte seriamente!), almeno per alcuni comparti...

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  4. Il mondo è cambiato, questa è la frase che ossessivamente ripetuta diviene verità. Mai però come
    Ora, forse più degli anni settanta, la società e il relativo riflesso sul mondo del lavoro, hanno bisogno di essere maggiormente tutelati, da un mondo che quotidianamente ti priva dell’idea di futuro.
    Nelle problematiche del lavoro, distratti dal fatto che il proletariato aveva raggiunto un certo grado di benessere, un imborghesimento che a detta di molti, avrebbe depotenzino la lotta proletaria, una parte della sinistra con il passare del tempo si è sottratta in funzione di quel ragionamento, da ciò che l’aveva da sempre contraddistinta, le lotte per il lavoro e i diritti a esso annessi. Ciò li ha portati in un campo non ben definito, dove si è cercato di aprire porte di dinamiche che sono sempre appartenuto ai “padroni”, ciò ha favorito uno smantellamento di una base ormai confusamente alla deriva e paradossalmente favorito il terreno dell’avversario, il cosiddetto capitalismo liberale. In buona sostanza si è cercata di cavalcare la politica dei consensi, entrando in un abitat che non li apparteneva e che in passato si è combattuto, ciò ha generato confusione, in questa inquietudine si è inserita una classe politica legata ai poteri economici forti, contrapposti a b., ma privi di affidabilità e di qualsiasi identità, lo stesso che accaddè nel socialismo craxiano. Sul fatto del consumismo, Pasolini lo aveva ampiamente predetto, nell’analisi dell’edonismo consumistico.

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